PEDAGOGIA

 DON MILANI

Abbiamo provato a vivere come ci insegnò don Milani» - Corriere.it

Il nome di don Lorenzo Milani rievoca agli insegnanti oggi meno giovani – che hanno vissuto il ’68 - molte suggestioni, ma nulla più. Rimane il ricordo di un ‘mito’, di un’alternativa cristiana alla contestazione d’ispirazione marxista. La sua scuola di Barbiana – era l’anno 1954 – è ricordata come precorritrice di una riforma della scuola sempre attesa e mai arrivata. Qualcuno ricorda con nostalgia o con sospetto la sua scelta di campo a favore dei poveri in un periodo in cui la Chiesa era esplicitamente schierata con la Democrazia Cristiana. Altri ricordano la scuola che doveva promuovere tutti: “una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”; oppure pensa al suo rifiuto delle materie, diremmo oggi, curricolari. Qualcun altro sorride all’idea di favorire fra i docenti i celibi in modo da richiedere loro totale dedizione di tempo e di entusiasmo a favore della scuola, oppure si stupisce quando in Lettera a una professoressa, a proposito di uno sciopero degli insegnanti, si afferma: “è difficile vedere in voi dei lavoratori con diritti sindacali. (…) Quando toccate quelle poche ore di insegnamento la gente capisce che di noi non ve ne importa nulla”. Per i più esperti di cose scolastiche la scuola di Barbiana ha rappresentato solo improvvisazione o laboratorio povero.

Eppure l’insegnamento di don Milani ha inciso profondamente su quanti hanno frequentato le sue scuole di San Donato di Calenzano e di Barbiana al punto che, a 35 anni dalla morte, si parla ancora di modello di Barbina. A lui si deve il merito di aver intuito sul piano pratico metodiche e teorie che saranno oggetto della riflessione didattica dei decenni successivi, più in generale il merito di aver precorso tematiche che saranno oggetto del dibattito sulla riforma della scuola. A oltre 50 anni dalla sua prima scuola, quella di San Donato, il gruppo non si è disperso, ma ha dato origine a realtà ancora presenti, l’ultima delle quali è il “centro di Formazione e ricerca Don L. Milani e Scuola di Barbiana”.

Nuclei fondativi del suo pensiero pedagogico

L’insegnamento della lingua. Il punto centrale della sua didattica è costituito dall’insegnamento della lingua (italiana, ma vale anche per le lingue stranere come mezzo di comunicazione): la sua principale e costante preoccupazione si esprimeva nello sforzo di ridare la parola ai poveri. Quando il Nostro iniziò la sua attività a Calenzano si reso presto conto della situazione di soggezione in cui le persone si trovano per mancanza dello strumento linguistico. Non si tratta solamente di saper leggere e scrivere. Se a Calenzano nel 1952 tutti sanno scrivere mentre poco più di cento anni prima solo il 3% della popolazione è pur vero che “la vita moderna richiede al cittadino un crescendo di prestazioni intellettuali (politica, sindacato, burocrazia ecc.) che non erano richieste al bracciante del secolo scorso. (…) Non è dunque esagerazione sostenere che l’operaio d’oggi col suo diploma di quinta elementare è in stato di maggior minorazione sociale che non il bracciante analfabeta del 1841”[7]. Interessanti sono le osservazioni sulla lettura dei quotidiani: essi ormai giungono nelle case di tutti (se non acquistati, portati a domicilio dai propagandisti dei partiti), ma pochi sono in grado di capirne il contenuto. In una serie di esempi il don Milani dell’epoca di San Donato fa notare[8] con degli esempi come alcuni articoli di contenuto scontatissimo risultino incomprensibili a chi ha frequentato solamente fino alla quinta elementare per un certo numero di parole a lui sconosciute. Si tratta di vera soggezione culturale: “la quasi totalità degli anziani – riferisce[9] – e l’88,6% dei giovani del nostro popolo è intellettualmente alla mercé di chi abbia fatto anche una sola classe oltre le elementari”. Ecco allora che per il don Milani dell’epoca di Barbiana l’interesse principale è quello di insegnare la lingua, ridare la parola ai poveri perché venga spezzato il circolo vizioso secondo il quale le classi superiori condizionano la lingua e così facendo si approfondisce il divario tra le classi sociali. La lingua, o meglio tutte le lingue, devono trovarsi al centro della scuola. “La lingua poi è formata dai vocaboli di ogni materia. Per cui bisogna sfiorare tutte le materie un po’ alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti solo nell’arte di parlare”.

Questa centralità della parola crea a Barbiana tecniche raffinate: le regole dello scrivere sono: “avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo”. Grazie a Lettera a una professoressa possiamo entrare in aula e vedere come lavorano intorno alla produzione scritta.

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